Dalla libertà alla dittatura

Forse è finalmente venuto il momento che scriva un po’ di Fromm.
Vediamo di scrivere cosa ricordo a memoria e poi, magari, approfondirò aiutandomi con i miei appunti.

Il libro che sto leggendo è “Fuga dalla libertà” del 1942. L’anno è importante: della guerra non si parla esplicitamente ma evidentemente dominava i pensieri di tutta la popolazione, intellettuali compresi.
L’argomento trattato è come le persone sembrino abbandonare la libertà senza apprezzarla pienamente e ne ipotizza una spiegazione psicologica. Ma, come spiegavo, il vero quesito che interessa a Fromm è come si siano potute sviluppare le dittature fascista e nazista.

Curiosamente l’argomento mi ha sempre interessato: nel mio vecchio blog (v. Da qui) scrissi più pezzi sull’argomento. La mia teoria era che la popolazione scivolasse nella dittatura rendendosene conto solo quando era troppo tardi per uscirne. Che le proposte di questi partiti non fossero inizialmente così estreme ma che lo diventassero all’aumentare della loro forza e presa sul potere.
Insomma dal mio punto di vista l’elettore è come un acquirente che si fa fregare dalla parlantina del negoziante che poi gli vende una fregatura.

Fromm, come psicologo, ha una teoria molto più psicologica: nell’analogia precedente l’elettore è si un acquirente che viene fregato dal venditore ma precipuo è che proprio l’acquirente vuole, senza rendersene conto, farsi fregare.

Fromm parte dal lontano, dal medioevo, un’epoca dove la libertà come l’intendiamo era estremamente limitata. Ogni persona era ben incasellata nella società e aveva pochissime possibilità di cambiare il ruolo al quale era destinata. Eppure, all’interno della propria “casella”, le persone erano molto libere: il calzolaio poteva organizzarsi il proprio lavoro come voleva. La struttura sociale era rigida ma si prendeva cura delle persone. In particolare Fromm ha in mente il “ceto medio” e, per esempio, afferma che le arti o corporazioni dei mercanti/artigiani acquistavano le materie prime tutti insieme e stabilivano gli stessi prezzi: questo significa che i vari mercanti non erano in vera competizione fra loro; chi riusciva a entrare in una di queste organizzazioni era poi “sistemato” a vita.
In definitiva, secondo Fromm, le persone del medioevo non erano libere ma erano sicure della propria posizioni, della propria vita, delle proprie certezze.
Scusatemi se non sono chiarissimo ma è anche l’autore piuttosto “fumoso” nelle sue spiegazioni: pagine e pagine che danno un “colore” ma senza elementi specifici a cui fare riferimento!

Col rinascimento invece le cose iniziano a cambiare: secondo l’autore la seguente affermazione è controversa fra gli studiosi ma il rinascimento, seppure rimanga un periodo di transizione, ha comunque in sé gli elementi che porteranno al capitalismo e quindi alla moderna società occidentale.
Gli uomini diventano più liberi ma è la libertà di affrontare un mare in tempesta mentre prima, rimanendo in questa metafora, le barche dei pescatori erano incatenate al molo ma pescavano in una baia calma e tranquilla.
Saltano le vecchie strutture della società (iniziano a tramontare arti e corporazioni) e ogni uomo entra in competizioni con gli altri, mentre prima predominava la cooperazione.
La libertà inizia ad associarsi quindi ad ansia, paura e solitudine.

A questo punto Fromm inizia ad analizzare la psicologia di Lutero e cosa il luteranesimo offriva ai propri fedeli. Riassumo proprio in estrema sintesi: la salvezza si ottiene con la fede assoluta, garanzia di grazia, che se vogliamo equivale a dire che “obbedienza assoluta garantisce sicurezza”.
Successivamente passa ad analizzare nella stessa maniera Calvino: ma questa parte non l’ho ancora letta.
Mi immagino che Fromm arriverà a concludere che il protestantesimo di Calvino si distinguerà (psicologicamente) da quello di Lutero lasciando più possibilità di scelta al fedele. Calvino ha poi influenzato più di Lutero l’anglicanesimo inglese (e quindi la cultura statunitense). Questo per arrivare a spiegare come mai i tedeschi sono finiti in una dittatura spietata mentre gli statunitensi (e gli inglesi) si battano per la libertà.
Queste sono mie illazioni, come detto devo ancora leggere questa parte e le conclusioni di Fromm: ma ho la netta sensazione che, come spiegato nella mia premessa, tutto il suo pensiero sia dominato dalla guerra e dalla volontà di spiegarne le più profonde origini.

Alla fine il pensiero di Fromm mi ricorda molto una frase di Sallustio (mi pare!): “L’uomo non aspira alla libertà ma a un padrone benevole”.
Anche secondo Fromm infatti l’“uomo forte” dà a chi lo segue quelle certezze psicologiche, quelle sicurezze, che la società moderna invece di per sé non dà più e a cui invece l’individuo, magari senza rendersene conto, aspira.

Riassumendo (basandomi solo su quello che ho letto!) è la paura, la solitudine, l’ansia dell’uomo moderno che lo allontana dalle incertezze della libertà e lo spinge nelle certezza della dittatura.

In generale non sono al momento molto convinto di questa teoria di Fromm, almeno per come l’ho capita io, (sono frequentissimi a margine del testo i miei distinguo!) ma sicuramente vi è anche qualcosa di vero.
La paura, l’ansia e la solitudine dell’uomo moderno sono sicuramente fattori reali così come la volontà di liberarsi di queste emozioni negative.

Per esempio da questo punto di vista si capisce una delle forze del pensiero maggioritario ([E] 10.7): affidarsi alla sua narrativa, togliersi il peso di pensare con la propria testa, dà sicurezza a chi si affida a esso. Se il comune uomo moderno vuole liberarsi di paura, ansia e solitudine allora il pensiero maggioritario è molto confortante: le sue certezze assolute danno sicurezza e liberano dall’ansia mentre la certezza di pensare ciò che pensano molti dà conforto e riduce la solitudine.

Non lo so: alla fine non ho riguardato i miei appunti ma credo di aver comunque esposto decentemente i concetti principali che ho letto fino a questo momento.
Vedremo poi se le mie previsioni su come Fromm proseguirà il proprio ragionamento sono corrette...

PS: mi sono dimenticato di menzionare una mia (prendetela quindi per ciò che vale: poco) riflessione personale sul passaggio dalla società medievale a quella rinascimentale.
Secondo me si deve considerare nel medioevo una società più piccola numericamente e fratturata, cioè con poche connessioni verso l’esterno rispetto alla rinascimentale. Tanti sistemi ([E] 4.3) abbastanza indipendenti fra loro.
Questo mi ricorda la teoria menzionata da Harari secondo cui il maggior numero di persone a cui una persona può essere direttamente connessa è 300: in altre parole 300 persone è la dimensione massima della tribù per la quale l’uomo si è evoluto per vivere.
Nel medioevo quindi la maggior parte degli uomini vivevano in strutture equivalenti a tribù; nel rinascimento col crescere della popolazione invece questa relazione salta.
Credo quindi che la sicurezza che Fromm assegna alla società medioevale possa anche essere legata al numero di persone che la componevano, molto più vicino a quello delle tribù in cui l’uomo si era evoluto per centinaia di migliaia di anni a vivere.
Ipotizza insomma che sia l’uscire della società dalla dimensione della tribù che rende automaticamente la persona isolata e contrapposta a un mondo impersonale, e quindi disumano, che tende a sopraffarlo e a trattarlo non come un individuo unico ma un semplice numero (in Italia un codice fiscale!) se non, addirittura, un prodotto da gestire.
Ho la sensazione che Lorenz sarebbe d’accordo con me.
Più la dimensione della società aumenta e più l’individuo che ne fa parte si trova immerso in una realtà che non è più quella umana per cui era evolutivamente/geneticamente nato ma un qualcosa di alieno e innaturale che, come tale, provoca tutte le ansie e paure di cui ho già scritto.

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