Due cosine rapide
Voglio scrivere un paio di riflessioni ma senza perderci troppo tempo: perdonatemi quindi se non partirò, come mio solito, dagli incunaboli ma mi limiterò al concetto immediato che voglio sottolineare.
Qualche anno fa lessi “Miserie della storiografia” di Popper: mi colpì per la banalità dei concetti espressi e per una certa “furbizia” ideologica che non trovai intellettualmente corretta. Parlandone con un mio amico (INTJ) mi disse che se Popper è così famoso non può aver scritto delle sciocchezze, ergo le avevo scritte io. Vabbè, questo è la solita fiducia cieca nell’autorità (e sfiducia nei miei confronti): seccante ma ci sono abituato. Comunque mi rimase l’idea di leggere altro per avere una verifica.
Da una settimana circa ho finito “La libertà è più importante dell’uguaglianza” sempre di Popper: scelto a caso (mi piaceva il titolo) si è rivelato essere una raccolta non troppo ampia di suoi pensieri provenienti da più opere.
Ebbene la mia sensazione è stata confermata: Popper scrive spesso (ma non sempre!) cose corrette ma estremamente semplici e banali. Paradossalmente deve essere stata questa la ragione del suo successo: il parlar semplice ed esprimere concetti facilmente accessibili lo rende fruibile a un vasto pubblico che, suppongo, si immagina di leggere grandi verità filosofiche.
Si riconferma la massima che per avere successo si devono scrivere banalità apprezzate dal grande pubblico; più ciò che si esprime diviene complesso e innovativo e sempre meno persone saranno in grado di comprenderlo. Popper deve essersene reso conto e aver deciso di sacrificare la complessità per il successo.
Non credo che farò altri tentativi di lettura con le sue opere.
Molto lentamente proseguo nella lettura di “Fuga dalla libertà” di Fromm: più o meno sono a metà.
Mi limito a un concetto che mi pare interessante senza tentare di inserirlo nel contesto di quanto scritto dall’autore.
Fromm esamina la definizione di normalità: un concetto che mi ha sempre incuriosito dato che non mi sono mai sentito né sono stato considerato dai miei pari (per esempio i compagni di classe) “normale”. Onestamente io mi sono sempre sentito “anormale” in senso positivo, per i miei compagni il giudizio è stato più variegato: credo che tutti mi abbiano sempre riconosciuto un’intelligenza superiore al consueto ma per alcuni, forse molti non saprei, senza compensare le mie “stranezze” sociali: in altre parole credo che il giudizio nei miei confronti corrisponda a un’addizione di pro e contro che, con una vasta ampiezza di valori, spazi dal molto negativo al molto positivo.
Aggiungo solo brevemente che dal mio punto di vista anche i miei lati “negativi” derivano dalla mia intelligenza: sono il risultato dell’applicazione di principi (morali e non) che ho giudicato prioritari e a cui, conseguentemente e logicamente, mi attengo. Per esempio sono disordinato semplicemente perché trovo l’ordine inutilmente faticoso e sopravvalutato: non lo mantengo perché non mi sembra valga la pena farlo.
Tornando a Fromm ci sono due tipi di normalità: quella sociale e quella individuale (soggettiva).
La normalità sociale corrisponde rozzamente a quanto un individuo si integra nella società ed è quindi utile e funzionale a essa (*1).
La normalità individuale è lo sviluppo di un carattere che determina la crescita interiore e la felicità dell’individuo: questo corrisponde a sviluppare,coltivare e attenersi a dei principi individuali.
Inutile dire che spesso queste due “normalità” finiscono per essere in contrasto fra loro e l’individuo dovrà mediare fra di esse per mantenerne un equilibrio accettabile. Chi è troppo “socialmente normale” ha probabilmente sacrificato molti dei suoi ideali/aspirazioni per conformarsi a quello che la società si aspetta da lui: questo può portare a infelicità e senso di incompiutezza personale.
Vice versa, l’individuo considerato “nevrotico”, non è riuscito ad adeguare produttivamente la propria individualità e le proprie capacità all’utile della società rimanendone quindi progressivamente tagliato fuori.
Aggiungo, forse non è sufficientemente chiaro, che integrarsi nella società va a sovrapporsi all’avere “successo” in esso che, nell’epoca attuale, più o meno corrisponde ad arricchirsi, a farsi “una posizione” ad avere notorietà. Questo è l’ideale a cui l’individuo è spinto per raggiungere la “normalità sociale”.
Sono molto d’accordo con Fromm e mi ritrovo benissimo in queste sue definizioni: alla fine non sono considerato normale da chi si accorge che rifiuto i valori fondamentali della società in primo luogo l’adorazione del denaro. Che il mio comportamento sia la conseguenza di una riflessioni logica e razionale dei miei principi non è considerato importante anzi pochi, solo i miei amici che guarda caso hanno un’intelligenza superiore alla media, riescono a intuire almeno parzialmente la mia logica.
Nota (*1): per completezza aggiungo che per Fromm vi è l’ulteriore vincolo di avere la capacità di “allevare figli”. Insomma il miliardario misantropo, che ha un ruolo super attivo nella società ma che contemporaneamente non si sposa né vuole figli, non è normale secondo Fromm. La mia perplessità deriva dal considerare sullo stesso piano una normalità biologica, che spinge alla riproduzione, e una normalità filosofica, puramente mentale.
Qualche anno fa lessi “Miserie della storiografia” di Popper: mi colpì per la banalità dei concetti espressi e per una certa “furbizia” ideologica che non trovai intellettualmente corretta. Parlandone con un mio amico (INTJ) mi disse che se Popper è così famoso non può aver scritto delle sciocchezze, ergo le avevo scritte io. Vabbè, questo è la solita fiducia cieca nell’autorità (e sfiducia nei miei confronti): seccante ma ci sono abituato. Comunque mi rimase l’idea di leggere altro per avere una verifica.
Da una settimana circa ho finito “La libertà è più importante dell’uguaglianza” sempre di Popper: scelto a caso (mi piaceva il titolo) si è rivelato essere una raccolta non troppo ampia di suoi pensieri provenienti da più opere.
Ebbene la mia sensazione è stata confermata: Popper scrive spesso (ma non sempre!) cose corrette ma estremamente semplici e banali. Paradossalmente deve essere stata questa la ragione del suo successo: il parlar semplice ed esprimere concetti facilmente accessibili lo rende fruibile a un vasto pubblico che, suppongo, si immagina di leggere grandi verità filosofiche.
Si riconferma la massima che per avere successo si devono scrivere banalità apprezzate dal grande pubblico; più ciò che si esprime diviene complesso e innovativo e sempre meno persone saranno in grado di comprenderlo. Popper deve essersene reso conto e aver deciso di sacrificare la complessità per il successo.
Non credo che farò altri tentativi di lettura con le sue opere.
Molto lentamente proseguo nella lettura di “Fuga dalla libertà” di Fromm: più o meno sono a metà.
Mi limito a un concetto che mi pare interessante senza tentare di inserirlo nel contesto di quanto scritto dall’autore.
Fromm esamina la definizione di normalità: un concetto che mi ha sempre incuriosito dato che non mi sono mai sentito né sono stato considerato dai miei pari (per esempio i compagni di classe) “normale”. Onestamente io mi sono sempre sentito “anormale” in senso positivo, per i miei compagni il giudizio è stato più variegato: credo che tutti mi abbiano sempre riconosciuto un’intelligenza superiore al consueto ma per alcuni, forse molti non saprei, senza compensare le mie “stranezze” sociali: in altre parole credo che il giudizio nei miei confronti corrisponda a un’addizione di pro e contro che, con una vasta ampiezza di valori, spazi dal molto negativo al molto positivo.
Aggiungo solo brevemente che dal mio punto di vista anche i miei lati “negativi” derivano dalla mia intelligenza: sono il risultato dell’applicazione di principi (morali e non) che ho giudicato prioritari e a cui, conseguentemente e logicamente, mi attengo. Per esempio sono disordinato semplicemente perché trovo l’ordine inutilmente faticoso e sopravvalutato: non lo mantengo perché non mi sembra valga la pena farlo.
Tornando a Fromm ci sono due tipi di normalità: quella sociale e quella individuale (soggettiva).
La normalità sociale corrisponde rozzamente a quanto un individuo si integra nella società ed è quindi utile e funzionale a essa (*1).
La normalità individuale è lo sviluppo di un carattere che determina la crescita interiore e la felicità dell’individuo: questo corrisponde a sviluppare,coltivare e attenersi a dei principi individuali.
Inutile dire che spesso queste due “normalità” finiscono per essere in contrasto fra loro e l’individuo dovrà mediare fra di esse per mantenerne un equilibrio accettabile. Chi è troppo “socialmente normale” ha probabilmente sacrificato molti dei suoi ideali/aspirazioni per conformarsi a quello che la società si aspetta da lui: questo può portare a infelicità e senso di incompiutezza personale.
Vice versa, l’individuo considerato “nevrotico”, non è riuscito ad adeguare produttivamente la propria individualità e le proprie capacità all’utile della società rimanendone quindi progressivamente tagliato fuori.
Aggiungo, forse non è sufficientemente chiaro, che integrarsi nella società va a sovrapporsi all’avere “successo” in esso che, nell’epoca attuale, più o meno corrisponde ad arricchirsi, a farsi “una posizione” ad avere notorietà. Questo è l’ideale a cui l’individuo è spinto per raggiungere la “normalità sociale”.
Sono molto d’accordo con Fromm e mi ritrovo benissimo in queste sue definizioni: alla fine non sono considerato normale da chi si accorge che rifiuto i valori fondamentali della società in primo luogo l’adorazione del denaro. Che il mio comportamento sia la conseguenza di una riflessioni logica e razionale dei miei principi non è considerato importante anzi pochi, solo i miei amici che guarda caso hanno un’intelligenza superiore alla media, riescono a intuire almeno parzialmente la mia logica.
Nota (*1): per completezza aggiungo che per Fromm vi è l’ulteriore vincolo di avere la capacità di “allevare figli”. Insomma il miliardario misantropo, che ha un ruolo super attivo nella società ma che contemporaneamente non si sposa né vuole figli, non è normale secondo Fromm. La mia perplessità deriva dal considerare sullo stesso piano una normalità biologica, che spinge alla riproduzione, e una normalità filosofica, puramente mentale.
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