Psicologia del nazismo
Oggi scrivo un pezzo che non pensavo di scrivere…
Come mi sembra di aver accennato nel precedente articolo su “Fuga dalla libertà” mi rimanevano solo due capitoli da leggere. Il penultimo è appunto intitolato “6. Psicologia del nazismo” e supponevo che lo avrei letto con interesse ma che non mi avrebbe dato troppo materiale di riflessione. E invece…
Nel mio vecchio ghiribizzo (Parole (meno) sante) mi capitò di domandarmi come nascesse una dittatura: mi chiedevo come fosse possibile che le persone non si rendessero conto a ciò che andavano incontro facendo sì che la politica degenerasse sempre più. Ne scrissi nel 2016 (v. L’origine della dittatura) quando iniziavo a rendermi conto che molti principi iniziavano a saltare ma, comunque, pensavo che ancora restasse qualche decennio (magari due o tre) di sostanziale libertà. Inutile dire che gli eventi hanno preso una brusca accelerazione: ma non divaghiamo…
All’epoca cercai di inquadrare il problema della nascita della dittatura nella teoria che proprio a quei tempi iniziavo a formulare e che sarebbe divenuta la spina dorsale della mia Epitome.
Col senno di poi devo ammettere che andai fuori strada: il problema è che allora ancora non afferravo totalmente la portata della stupidità dell’uomo medio: “stupidità” è chiaramente una semplificazione che vuole riassumere i limiti psicologici della società (ne ho scritto in [E 3.9 – Il sentiero del gregge]). Detto questo mi rendo conto che non avrei dovuto stupirmi di trovare spunti affascinanti in un capitolo intitolato “Psicologia del nazismo” scritto da un brillante psicologo!
Il brivido di eccitazione ma anche di paura che mi hanno dato queste pagine dipende dal fatto che ci sono numerose analogie psicologiche con quanto sta avvenendo oggi in Europa: ovvero fra la Germania del primo dopoguerra e l’UE di oggi.
Procediamo con ordine sfogliando le mie note alle varie pagine…
1. Come mai le persone che politicamente erano lontane dal nazismo non si sono opposte a esso? La classe operaia, fortemente sviluppata, era forte e di tendenza socialista: non per nulla gli intellettuali si aspettavano che la rivoluzione comunista avvenisse in Germania non in Russia (troppo arretrata economicamente)…
Ebbene la guerra e gli insuccessi politici dei partiti socialisti tedeschi avevano lasciato gli elettori sfiduciati e delusi: avevano perso la fiducia nelle possibilità di cambiamento date dalla politica.
«Psicologicamente, questa prontezza a sottomettersi al regime nazista sembra dovuta principalmente ad uno stato di stanchezza interiore e di rassegnazione, stato che, come si dirà nel prossimo capitolo, è caratteristico dell’individuo del nostro tempo anche nei paesi democratici.» (*1) e poi «[…] per quanto riguarda la classe operaia, esisteva anche un’altra condizione importante: la sconfitta subita dopo le prime vittorie riportate nella rivoluzione del 1918. La classe operaia si era affacciata al dopoguerra nutrendo grandi speranza nella realizzazione del socialismo […] tuttavia essa, quale che ne siano state le ragioni, aveva subito un’interrotta serie di sconfitte, che aveva provocato il crollo completo delle sue speranze.» (*2)
E quanti sono oggi i “delusi dalla politica”: negli ultimi 25 anni circa, nonostante i vari cambi di governo, la situazione economico e sociale sta andando sempre peggio...
2. Il nazismo va poi a identificarsi nella narrativa tedesca del tempo, con la Germania (che ne dite di questi motti: “Prima la Germania” o “Make Germany Great Again”?) e, come spiega Fromm, «Nulla riesce più difficile all’uomo medio del sopportare il sentimento di non potersi identificare con un vasto gruppo [il popolo tedesco nello specifico]» (*3)
E oggi la narrativa non va a identificare la UE con gli europei? Non viene fatta sembrare una bestemmia anche solo ipotizzare l’uscita di uno stato da questa unione?
3. La crisi economica del primo dopoguerra genera un’iperinflazione che va a bruciare i risparmi dei tedeschi accumulati in una vita: la conseguenza è che le famiglie non sono più in grado di supportare economicamente i figli nel cammino della vita. Questo crea un’interessante conseguenza: i valori tradizionali della famiglia, ciò che da essa veniva ritenuto sacro e rispettato, perdono ugualmente importanza nei giovani. Se un padre di famiglia fornisce denaro a una giovane coppia allora i suoi valori sono collegati all’aiuto: il padre avrà guadagnato quei soldi grazie a ciò in cui aveva creduto, se il figlio seguirà le sue orme allora riuscirà a fare altrettanto.
Ma il fallimento economico dei padri svaluta anche i valori in cui essi avevano creduto: questo vuoto lascia ampio spazio in cui novità, per quanto dubbie, possono inserirsi.
«Anche l’inflazione gioca un ruolo tanto economico che psicologico. Fu un colpo mortale al principio della parsimonia, e nello stesso tempo all’autorità dello stato.» (*4)
«Se quelle autorità, che i genitori avevano insegnato ai giovani a rispettare, si dimostravano deboli, allora, fatalmente, anche i genitori perdevano prestigio e autorità.» (*5)
«[…] di fronte all’inflazione, la vecchia generazione si sentiva confusa, incerta, e meno elastica della giovane generazione. Così i giovani si sentivano superiori agli anziani, e non riuscivano più a prender sul serio questi ultimi e i loro insegnamenti. Infine il declino economico della classe media privava i genitori della loro funzione economica di garanti dell’avvenire economico dei figli.» (*5)
E oggi? L’inflazione sta crescendo e non credo sia un caso che i giovani chiamino i più anziani col nomignolo dispregiativo di “boomers”: meno evidente ma credo reale sia anche il crescente disprezzo per qualsiasi ideale e principio che suoni “vecchio” nel senso di legato alla precedenti generazioni.
4. Non ho avuto tempo di specificarlo ma, giustamente, Fromm non scrive che le cause del nazismo siano esclusivamente psicologiche: ugualmente importanti sono quelle economiche (dell’inflazione avrete già capito) e quelle politiche.
Riguardo quelle politiche Fromm si basa sulla sua incredibile intuizione e quindi suggerisce con una certa dose di incertezza. Guarda caso però le sue ipotesi si sposano perfettamente con la mia teoria dei parapoteri che, a sua volta, conferma la sua intuizione.
Nella mia teoria abbiamo che i parapoteri economici hanno una grande influenza sul potere politico per una molteplicità di ragioni ([E] 5) col risultato che ogni governo tende a fare più gli interessi dei grandi gruppi economici che quelli degli elettori.
In Germania i grandi gruppi industriali temevano la forza dei socialisti (il fatto che per il momento, come detto, avessero vinto tutte le battaglie non voleva dire che non li temessero) e, con la consueta miopia di chi è abituato a cercare il profitto nel breve termine, decisero di appoggiare il nazismo. Chiaro che poi, quando divenne abbastanza forte, fu il nazismo a dominare anche la volontà dei grandi gruppi industriali!
«La grandissima maggioranza della popolazione provava quel sentimento di irrilevanza personale e di impotenza che abbiamo indicato come tipico del capitalismo monopolistico in generale.» (*6)
Per dire quanto sia attuale questa condizione psicologica anche nel mondo iperliberista odierno.
«Il parlamento era una rappresentanza piuttosto adeguata degli interessi delle diverse classi della popolazione tedesca, e proprio per questa ragione il sistema parlamentare non poteva più conciliarsi con l’esigenza di mantenere i privilegi della grande industria e dei proprietari terrieri semi-feudali. Gli esponenti di questi gruppi privilegiati speravano che il nazismo avrebbe deviato il risentimento emotivo, che li minacciava, verso altri obiettivi; e che contemporaneamente avrebbe aggiogato la nazione al servizio dei loro interessi economici.» (*7)
Notare anche quanto sia attuale il cercare di sviare il risentimento popolare: oggi le persone comuni sono molto più povere di 25 anni fa mentre i super ricchi lo sono sempre di più. Se gli uomini fossero oggettivi e razionali vi sarebbe un forte risentimento della stragrande maggioranza della popolazione per la diseguaglianza economica che favorisce, a loro danno, un frazione minima di famiglie. E invece ecco che abbiamo l’immigrazione che scatena le guerre fra poveri, ecco che abbiamo il nemico (russo) esterno, ecco che abbiamo la grande pandemia: perché tutte queste distrazioni obnubilano l’incompetenza e il tradimento della classe politica europea.
Vabbè, ci sarebbe poi da dedicare un po’ di spazio alle geniali intuizioni psicosociali di Hitler grazie alle quali riuscì a dominare non solo la volontà ma anche l’inconscio dei tedeschi. Il limitarsi a definire Hitler come un folle non è molto utile a comprendere le origini della dittatura nazista…
Magari un’altra volta via...
Nota (*1): tratto da “Fuga dalla libertà” di Erich Fromm (1941), (E.) Edizioni di comunità, 1980, trad. Cesare Mannucci, pag. 182-183.
Nota (*2): ibidem, pag. 183.
Nota (*3): ibidem, pag. 183.
Nota (*4): ibidem, pag. 187.
Nota (*5): ibidem, pag. 188.
Nota (*6): ibidem, pag. 190.
Nota (*6): ibidem, pag. 191.
Come mi sembra di aver accennato nel precedente articolo su “Fuga dalla libertà” mi rimanevano solo due capitoli da leggere. Il penultimo è appunto intitolato “6. Psicologia del nazismo” e supponevo che lo avrei letto con interesse ma che non mi avrebbe dato troppo materiale di riflessione. E invece…
Nel mio vecchio ghiribizzo (Parole (meno) sante) mi capitò di domandarmi come nascesse una dittatura: mi chiedevo come fosse possibile che le persone non si rendessero conto a ciò che andavano incontro facendo sì che la politica degenerasse sempre più. Ne scrissi nel 2016 (v. L’origine della dittatura) quando iniziavo a rendermi conto che molti principi iniziavano a saltare ma, comunque, pensavo che ancora restasse qualche decennio (magari due o tre) di sostanziale libertà. Inutile dire che gli eventi hanno preso una brusca accelerazione: ma non divaghiamo…
All’epoca cercai di inquadrare il problema della nascita della dittatura nella teoria che proprio a quei tempi iniziavo a formulare e che sarebbe divenuta la spina dorsale della mia Epitome.
Col senno di poi devo ammettere che andai fuori strada: il problema è che allora ancora non afferravo totalmente la portata della stupidità dell’uomo medio: “stupidità” è chiaramente una semplificazione che vuole riassumere i limiti psicologici della società (ne ho scritto in [E 3.9 – Il sentiero del gregge]). Detto questo mi rendo conto che non avrei dovuto stupirmi di trovare spunti affascinanti in un capitolo intitolato “Psicologia del nazismo” scritto da un brillante psicologo!
Il brivido di eccitazione ma anche di paura che mi hanno dato queste pagine dipende dal fatto che ci sono numerose analogie psicologiche con quanto sta avvenendo oggi in Europa: ovvero fra la Germania del primo dopoguerra e l’UE di oggi.
Procediamo con ordine sfogliando le mie note alle varie pagine…
1. Come mai le persone che politicamente erano lontane dal nazismo non si sono opposte a esso? La classe operaia, fortemente sviluppata, era forte e di tendenza socialista: non per nulla gli intellettuali si aspettavano che la rivoluzione comunista avvenisse in Germania non in Russia (troppo arretrata economicamente)…
Ebbene la guerra e gli insuccessi politici dei partiti socialisti tedeschi avevano lasciato gli elettori sfiduciati e delusi: avevano perso la fiducia nelle possibilità di cambiamento date dalla politica.
«Psicologicamente, questa prontezza a sottomettersi al regime nazista sembra dovuta principalmente ad uno stato di stanchezza interiore e di rassegnazione, stato che, come si dirà nel prossimo capitolo, è caratteristico dell’individuo del nostro tempo anche nei paesi democratici.» (*1) e poi «[…] per quanto riguarda la classe operaia, esisteva anche un’altra condizione importante: la sconfitta subita dopo le prime vittorie riportate nella rivoluzione del 1918. La classe operaia si era affacciata al dopoguerra nutrendo grandi speranza nella realizzazione del socialismo […] tuttavia essa, quale che ne siano state le ragioni, aveva subito un’interrotta serie di sconfitte, che aveva provocato il crollo completo delle sue speranze.» (*2)
E quanti sono oggi i “delusi dalla politica”: negli ultimi 25 anni circa, nonostante i vari cambi di governo, la situazione economico e sociale sta andando sempre peggio...
2. Il nazismo va poi a identificarsi nella narrativa tedesca del tempo, con la Germania (che ne dite di questi motti: “Prima la Germania” o “Make Germany Great Again”?) e, come spiega Fromm, «Nulla riesce più difficile all’uomo medio del sopportare il sentimento di non potersi identificare con un vasto gruppo [il popolo tedesco nello specifico]» (*3)
E oggi la narrativa non va a identificare la UE con gli europei? Non viene fatta sembrare una bestemmia anche solo ipotizzare l’uscita di uno stato da questa unione?
3. La crisi economica del primo dopoguerra genera un’iperinflazione che va a bruciare i risparmi dei tedeschi accumulati in una vita: la conseguenza è che le famiglie non sono più in grado di supportare economicamente i figli nel cammino della vita. Questo crea un’interessante conseguenza: i valori tradizionali della famiglia, ciò che da essa veniva ritenuto sacro e rispettato, perdono ugualmente importanza nei giovani. Se un padre di famiglia fornisce denaro a una giovane coppia allora i suoi valori sono collegati all’aiuto: il padre avrà guadagnato quei soldi grazie a ciò in cui aveva creduto, se il figlio seguirà le sue orme allora riuscirà a fare altrettanto.
Ma il fallimento economico dei padri svaluta anche i valori in cui essi avevano creduto: questo vuoto lascia ampio spazio in cui novità, per quanto dubbie, possono inserirsi.
«Anche l’inflazione gioca un ruolo tanto economico che psicologico. Fu un colpo mortale al principio della parsimonia, e nello stesso tempo all’autorità dello stato.» (*4)
«Se quelle autorità, che i genitori avevano insegnato ai giovani a rispettare, si dimostravano deboli, allora, fatalmente, anche i genitori perdevano prestigio e autorità.» (*5)
«[…] di fronte all’inflazione, la vecchia generazione si sentiva confusa, incerta, e meno elastica della giovane generazione. Così i giovani si sentivano superiori agli anziani, e non riuscivano più a prender sul serio questi ultimi e i loro insegnamenti. Infine il declino economico della classe media privava i genitori della loro funzione economica di garanti dell’avvenire economico dei figli.» (*5)
E oggi? L’inflazione sta crescendo e non credo sia un caso che i giovani chiamino i più anziani col nomignolo dispregiativo di “boomers”: meno evidente ma credo reale sia anche il crescente disprezzo per qualsiasi ideale e principio che suoni “vecchio” nel senso di legato alla precedenti generazioni.
4. Non ho avuto tempo di specificarlo ma, giustamente, Fromm non scrive che le cause del nazismo siano esclusivamente psicologiche: ugualmente importanti sono quelle economiche (dell’inflazione avrete già capito) e quelle politiche.
Riguardo quelle politiche Fromm si basa sulla sua incredibile intuizione e quindi suggerisce con una certa dose di incertezza. Guarda caso però le sue ipotesi si sposano perfettamente con la mia teoria dei parapoteri che, a sua volta, conferma la sua intuizione.
Nella mia teoria abbiamo che i parapoteri economici hanno una grande influenza sul potere politico per una molteplicità di ragioni ([E] 5) col risultato che ogni governo tende a fare più gli interessi dei grandi gruppi economici che quelli degli elettori.
In Germania i grandi gruppi industriali temevano la forza dei socialisti (il fatto che per il momento, come detto, avessero vinto tutte le battaglie non voleva dire che non li temessero) e, con la consueta miopia di chi è abituato a cercare il profitto nel breve termine, decisero di appoggiare il nazismo. Chiaro che poi, quando divenne abbastanza forte, fu il nazismo a dominare anche la volontà dei grandi gruppi industriali!
«La grandissima maggioranza della popolazione provava quel sentimento di irrilevanza personale e di impotenza che abbiamo indicato come tipico del capitalismo monopolistico in generale.» (*6)
Per dire quanto sia attuale questa condizione psicologica anche nel mondo iperliberista odierno.
«Il parlamento era una rappresentanza piuttosto adeguata degli interessi delle diverse classi della popolazione tedesca, e proprio per questa ragione il sistema parlamentare non poteva più conciliarsi con l’esigenza di mantenere i privilegi della grande industria e dei proprietari terrieri semi-feudali. Gli esponenti di questi gruppi privilegiati speravano che il nazismo avrebbe deviato il risentimento emotivo, che li minacciava, verso altri obiettivi; e che contemporaneamente avrebbe aggiogato la nazione al servizio dei loro interessi economici.» (*7)
Notare anche quanto sia attuale il cercare di sviare il risentimento popolare: oggi le persone comuni sono molto più povere di 25 anni fa mentre i super ricchi lo sono sempre di più. Se gli uomini fossero oggettivi e razionali vi sarebbe un forte risentimento della stragrande maggioranza della popolazione per la diseguaglianza economica che favorisce, a loro danno, un frazione minima di famiglie. E invece ecco che abbiamo l’immigrazione che scatena le guerre fra poveri, ecco che abbiamo il nemico (russo) esterno, ecco che abbiamo la grande pandemia: perché tutte queste distrazioni obnubilano l’incompetenza e il tradimento della classe politica europea.
Vabbè, ci sarebbe poi da dedicare un po’ di spazio alle geniali intuizioni psicosociali di Hitler grazie alle quali riuscì a dominare non solo la volontà ma anche l’inconscio dei tedeschi. Il limitarsi a definire Hitler come un folle non è molto utile a comprendere le origini della dittatura nazista…
Magari un’altra volta via...
Nota (*1): tratto da “Fuga dalla libertà” di Erich Fromm (1941), (E.) Edizioni di comunità, 1980, trad. Cesare Mannucci, pag. 182-183.
Nota (*2): ibidem, pag. 183.
Nota (*3): ibidem, pag. 183.
Nota (*4): ibidem, pag. 187.
Nota (*5): ibidem, pag. 188.
Nota (*6): ibidem, pag. 190.
Nota (*6): ibidem, pag. 191.
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