Fuga dal presente
Come mio solito volevo scrivere di altro ma ieri ho letto un nuovo capitolo di Don Chisciotte che ho trovato interessante.
Ho già scritto di alcune pagine che mi hanno fatto ridere a crepapelle ma stavolta ho semplicemente sorriso: non c’è nessun passaggio particolarmente buffo ma è l’idea di fondo della trama a essere divertente.
Nel capitolo precedente Don Chisciotte ha incontrato un uomo che per un amore deluso ha deciso di andare a vivere come un eremita fuori dal mondo perdendo il senno.
Don Chisciotte, dopo averci riflettuto un po’, ha pensato che è un’ottima idea: ha deciso che anche lui per amore impazzirà e che Sancho dovrà andare dalla sua amata Dulcinea del Tobaso a portargli una sua lettera e a raccontarle le follie che compie. Sancho, tutto contento di tornare a casa (ci sono in ballo anche dei somari in regalo per lui), risponde che le sue follie già le conosce e che potrebbe partire subito ma Don Chisciotte gli ordina, con buon senso pratico, di assistere almeno a una in maniera di poter giurare di averle viste. Così Don Chisciotte si toglie pantaloni e mutande e si mette a fare delle capriole mentre Sancho distoglie lo sguardo.
L’aspetto di fondo divertente è l’idea di scegliere di divenire folle che è dettata da una certa razionalità. In realtà non si può scegliere di diventare matti ma solo di fingerlo. Ma fingere, per un cavaliere come si ritiene Don Chisciotte, dovrebbe essere inconcepibile soprattutto se ha lo scopo di acquistare fama. Queste contraddizioni logiche, ovviamente volute da Cervantes, le trovo molto divertenti.
Insomma questo capitolo mi ha fatto sorridere fino a quando però non mi sono reso conto che poteva esserci una seconda chiave di lettura che mi ha lasciato inquieto.
È davvero un folle visionario Don Chisciotte oppure lo è il mondo intorno a lui?
In questo capitolo infatti ci sono degli accenni che potrebbero far supporre che Don Chisciotte fosse consapevole che le sue precedenti “stranezze” fossero state attuate con una sorta di consapevolezza della loro assurdità. Per esempio, non ho voglia di cercare il punto esatto, ma afferma qualcosa di questo genere per un secchio di rame che lui usa invece come elmo: dice qualcosa del tipo che se solo lui lo considera un elmo nessuno glielo ruberà…
Non potrebbe esser Don Chisciotte ad aver lucidamente scelto di vedere la realtà con occhi diversi, in maniera che fosse di suo maggior gradimento?
Ecco, mi chiedo quindi se la follia (quella “normale” e non per “amore”) di Don Chisciotte, non nasca dal nulla ma sia un rifiuto della realtà quotidiana.
A questa ipotesi mi spinge anche la lettura di “Fuga dalla libertà” di Fromm il cui titolo però, per quanto ho letto, potrebbe essere anche cambiato in “Fuga dalla realtà”.
Questa “fuga” è motivata dallo stress causato dalla vita moderna (ma vedi anche Freud, Marcuse o Rogers) che, sempre per Fromm, inizia a svilupparsi proprio nel rinascimento, ovvero all’epoca in cui Don Chisciotte è ambientato. E forse allora non è un caso che Don Chisciotte abbracci una follia che lo riporta qualche secolo nel passato in cui, sempre secondo Fromm, questa tensione nella società non esisteva.
È una lettura interessante: del resto cosa vi è di più libero di un “cavaliere errante”, come si definisce lo stesso Don Chisciotte, che va alla ricerca delle avventure che gli propone il fato senza preoccuparsi di null’altro?
Non so: questa possibile tematica è emersa solo nell’ultimo capitolo grazie alle riflessioni del protagonista. Dovremo aspettare per vedere se ci saranno nuovi indizi in questa direzione oppure no. Del resto nel precedente pezzo su Don Chisciotte avevo avvisato che mi sembrava strano che l’opera potesse continuare a reggersi solo sulla successione di avventure episodiche del protagonista senza l’aggiunta di elementi più profondi.
C’è però da dire che l’idea di fuga più o meno cosciente dalla realtà presente sarebbe enormemente avanti sui tempi dell’autore: sarebbe stata una potente intuizione.
Vedremo...
Ho già scritto di alcune pagine che mi hanno fatto ridere a crepapelle ma stavolta ho semplicemente sorriso: non c’è nessun passaggio particolarmente buffo ma è l’idea di fondo della trama a essere divertente.
Nel capitolo precedente Don Chisciotte ha incontrato un uomo che per un amore deluso ha deciso di andare a vivere come un eremita fuori dal mondo perdendo il senno.
Don Chisciotte, dopo averci riflettuto un po’, ha pensato che è un’ottima idea: ha deciso che anche lui per amore impazzirà e che Sancho dovrà andare dalla sua amata Dulcinea del Tobaso a portargli una sua lettera e a raccontarle le follie che compie. Sancho, tutto contento di tornare a casa (ci sono in ballo anche dei somari in regalo per lui), risponde che le sue follie già le conosce e che potrebbe partire subito ma Don Chisciotte gli ordina, con buon senso pratico, di assistere almeno a una in maniera di poter giurare di averle viste. Così Don Chisciotte si toglie pantaloni e mutande e si mette a fare delle capriole mentre Sancho distoglie lo sguardo.
L’aspetto di fondo divertente è l’idea di scegliere di divenire folle che è dettata da una certa razionalità. In realtà non si può scegliere di diventare matti ma solo di fingerlo. Ma fingere, per un cavaliere come si ritiene Don Chisciotte, dovrebbe essere inconcepibile soprattutto se ha lo scopo di acquistare fama. Queste contraddizioni logiche, ovviamente volute da Cervantes, le trovo molto divertenti.
Insomma questo capitolo mi ha fatto sorridere fino a quando però non mi sono reso conto che poteva esserci una seconda chiave di lettura che mi ha lasciato inquieto.
È davvero un folle visionario Don Chisciotte oppure lo è il mondo intorno a lui?
In questo capitolo infatti ci sono degli accenni che potrebbero far supporre che Don Chisciotte fosse consapevole che le sue precedenti “stranezze” fossero state attuate con una sorta di consapevolezza della loro assurdità. Per esempio, non ho voglia di cercare il punto esatto, ma afferma qualcosa di questo genere per un secchio di rame che lui usa invece come elmo: dice qualcosa del tipo che se solo lui lo considera un elmo nessuno glielo ruberà…
Non potrebbe esser Don Chisciotte ad aver lucidamente scelto di vedere la realtà con occhi diversi, in maniera che fosse di suo maggior gradimento?
Ecco, mi chiedo quindi se la follia (quella “normale” e non per “amore”) di Don Chisciotte, non nasca dal nulla ma sia un rifiuto della realtà quotidiana.
A questa ipotesi mi spinge anche la lettura di “Fuga dalla libertà” di Fromm il cui titolo però, per quanto ho letto, potrebbe essere anche cambiato in “Fuga dalla realtà”.
Questa “fuga” è motivata dallo stress causato dalla vita moderna (ma vedi anche Freud, Marcuse o Rogers) che, sempre per Fromm, inizia a svilupparsi proprio nel rinascimento, ovvero all’epoca in cui Don Chisciotte è ambientato. E forse allora non è un caso che Don Chisciotte abbracci una follia che lo riporta qualche secolo nel passato in cui, sempre secondo Fromm, questa tensione nella società non esisteva.
È una lettura interessante: del resto cosa vi è di più libero di un “cavaliere errante”, come si definisce lo stesso Don Chisciotte, che va alla ricerca delle avventure che gli propone il fato senza preoccuparsi di null’altro?
Non so: questa possibile tematica è emersa solo nell’ultimo capitolo grazie alle riflessioni del protagonista. Dovremo aspettare per vedere se ci saranno nuovi indizi in questa direzione oppure no. Del resto nel precedente pezzo su Don Chisciotte avevo avvisato che mi sembrava strano che l’opera potesse continuare a reggersi solo sulla successione di avventure episodiche del protagonista senza l’aggiunta di elementi più profondi.
C’è però da dire che l’idea di fuga più o meno cosciente dalla realtà presente sarebbe enormemente avanti sui tempi dell’autore: sarebbe stata una potente intuizione.
Vedremo...
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