Neo Lamarckiano
Forse non molto conoscono/ricordano Lamarck ma per me è una specie di ricordo d’infanzia: all’epoca delle elementari (o forse delle medie) me ne parlò mio padre dopo avermi spiegato la teoria dell’ereditarietà di Mendel con i suoi fiori colorati e gli occhi chiari/scuri.
Beffardamente, ridacchiando, mi raccontava di come Lamarck pensasse che le giraffe avessero evoluto il loro lungo collo sforzandosi di raggiungere le foglie più alte: ogni giraffa nell’arco della propria vita allungava così il proprio collo e, in barba ai geni, passava questa caratteristica ai propri figli. Questo è l’esempio classico, poi mio padre aggiungeva l’esempio del fabbro che per il suo lavoro diviene grande e grosso ma i cui figli non sarebbero necessariamente altrettanto robusti.
Ebbene da qualche tempo sto seguendo un corso su Youtube di Robert Sapolsky, neuroscienziato e biologo evoluzionista, che insegna a Stanford: “Biologia umana comportamentale”.
Di solito i video corsi sono piuttosto snelli, mirano a dare una panoramica, e durano intorno alle 20 ore: questo no, è piuttosto massiccio e durerà poco meno di 50 ore… (e infatti si tratta di lezioni vere e proprie che trasmetteva all’epoca del COVID ai propri studenti).
Ebbene la genetica dagli anni ‘90, in cui ebbi la mia infarinatura al liceo, ha fatto passi da gigante: in particolare si è da tempo superata l’idea che il DNA fosse costituito solamente da una sfilza di geni (codificati dalle 4 basi etc.). Da tempo si era scoperto che il 98% del DNA non codifica geni ma si riteneva che fosse semplice “spazzatura” senza importanza.
Ma nel corso del tempo, diciamo dal 2000 in poi, le nostre conoscenze si sono approfondite.
Senza rifletterci troppo mi ero sempre chiesto come facesse il corpo a sapere quali geni usare, dove e quando: avevo in mente un feto e sapevo che, ok qui nel DNA abbiamo i dettagli del progetto, nel corpo abbiamo gli operai, ovvero le cellule, pronti a costruire ma dove sono gli architetti?
Semplicemente accantonai l’idea immaginandomi che ci fossero anche dei “geni” progetto che codificassero quali geni usare quando e dove… in pratica non rispondevo alla mia stessa domanda ma supponevo che i geni spiegassero tutto.
Più recentemente, qualche anno fa, ero poi venuto in contatto con i “fattori epigenetici” nel libro “A Hunter-Gatherer’s Guide to the 21st Century” di Heather Heying e Bret Weinstein. Avevo capito che si trattava di qualcosa che influisce sull’espressione dei geni ma era solo un accenno e non avevo immaginato i dettagli (che non erano spiegati!).
Questo concetto ritorna invece nel corso di Sapolsky ed è fondamentale!
Recentemente (diciamo dal 2000 in poi, non ricordo gli anni esatti) si è scoperto che alcuni geni possono essere attivi o inattivi. Nella striscia del DNA, prima della codifica di ogni singolo gene, vi è una parte chiamata “promoter” (userò i nomi in inglese perché non ho idea della traduzione italiana) che funziona come una sorta di lucchetto: il gene seguente viene usato (ovvero vengono prodotte le proteine che codifica) solo se un TF (Transcription Factor) si lega, come una chiave, a esso.
Questi TF vengono prodotti a livello cellulare (per esempio quando una cellula ha bisogno di energia produce dei TF che attivano il gene la cui proteina permette poi l’arrivo di zucchero, si chiama gluco-qualcosa non ricordo!); oppure a livello dell’intero corpo (per esempio produzione testosterone che attiva il gene della crescita muscolare); ma anche l’ambiente esterno può portare il corpo a reagire attivando temporaneamente vari geni (per esempio in una situazione di conflitto fra uomini, vi è la produzione di testosterone che aumenta l’aggressività attivando specifici geni; oppure l’odore di bebè che stimola l’attivazione di altri ormoni che a loro volta portano a rinforzare il legame madre-figlio).
Insomma, nel nostro DNA abbiamo un sistema di acceso/spento, che equivale a un primo livello di regolazione ma che, al momento, non sembra avere niente a che fare con l’ereditarietà.
Fra parentesi c’è da aggiungere che i TF sono proteine e, a loro volta, sono codificate nel DNA: in altre parole nel DNA sono codificati non solo i geni ma anche tutto il sistema di controllo che serve per regolarli! Anzi, più complesso è il genoma e maggiore sembra essere rispetto ai geni la parte di DNA destinata alla loro regolazione.
Ma la regolazione dei geni è ancora più complessa: non vi è solo il meccanismo lucchetto/chiave delle coppie promoter/TF ma altri meccanismi che hanno un effetto a lungo termine. E per lungo termine intendiamo qualcosa che della durata di anni, decenni o per il resto della vita!
Un meccanismo per disattivare permanentemente un gene è quello di mettere una specie di “tappo” sul promoter e in questa maniera, indipendentemente dalla presenza o meno di TF, il gene non verrà mai utilizzato.
Analogamente, affinché i TF possano raggiungere i promoter vi deve essere un varco nella cromatina (ovvero la parte esterna della spirale di DNA). Questi varchi possono venire chiusi col risultato di bloccare l’attivazione del relativo gene.
La cosa veramente interessante è che alla formazione dei gameti queste modifiche a lungo termine (o almeno alcune di esse) non vengono “resettate” ma copiate tali e quali e, quindi, si trasmettono allo zigote.
In altre parole fattori esterni epigenetici dell’ambiente possono modificare il sistema di controllo dell’attivazione dei geni, e quindi la loro effettiva espressione, e trasmettersi alle generazioni successive.
Ora io parlo di ambiente in generale ma, ovviamente, ciò può essere inteso come abitudine: ovvero la ripetizione di un certo comportamento può modificare l’espressione del DNA e passare alla prole.
In questo senso va intesa la teoria neo-lamarckiana in cui il comportamento influisce effettivamente sul DNA e può trasmettere i suoi effetti alle generazioni successive…
Forse non sono stato troppo preciso nella mia esposizione: ho cercato di passare il senso degli esempi riportati dal professore senza però prendermi la briga di ricopiare i dettagli come geni od ormoni coinvolti. Comunque ho la netta sensazione che, dato l’argomento del corso, verranno approfonditi molti fattori epigenetici nelle prossime lezioni (io sono appena alla sesta puntata su 32!).
Beffardamente, ridacchiando, mi raccontava di come Lamarck pensasse che le giraffe avessero evoluto il loro lungo collo sforzandosi di raggiungere le foglie più alte: ogni giraffa nell’arco della propria vita allungava così il proprio collo e, in barba ai geni, passava questa caratteristica ai propri figli. Questo è l’esempio classico, poi mio padre aggiungeva l’esempio del fabbro che per il suo lavoro diviene grande e grosso ma i cui figli non sarebbero necessariamente altrettanto robusti.
Ebbene da qualche tempo sto seguendo un corso su Youtube di Robert Sapolsky, neuroscienziato e biologo evoluzionista, che insegna a Stanford: “Biologia umana comportamentale”.
Di solito i video corsi sono piuttosto snelli, mirano a dare una panoramica, e durano intorno alle 20 ore: questo no, è piuttosto massiccio e durerà poco meno di 50 ore… (e infatti si tratta di lezioni vere e proprie che trasmetteva all’epoca del COVID ai propri studenti).
Ebbene la genetica dagli anni ‘90, in cui ebbi la mia infarinatura al liceo, ha fatto passi da gigante: in particolare si è da tempo superata l’idea che il DNA fosse costituito solamente da una sfilza di geni (codificati dalle 4 basi etc.). Da tempo si era scoperto che il 98% del DNA non codifica geni ma si riteneva che fosse semplice “spazzatura” senza importanza.
Ma nel corso del tempo, diciamo dal 2000 in poi, le nostre conoscenze si sono approfondite.
Senza rifletterci troppo mi ero sempre chiesto come facesse il corpo a sapere quali geni usare, dove e quando: avevo in mente un feto e sapevo che, ok qui nel DNA abbiamo i dettagli del progetto, nel corpo abbiamo gli operai, ovvero le cellule, pronti a costruire ma dove sono gli architetti?
Semplicemente accantonai l’idea immaginandomi che ci fossero anche dei “geni” progetto che codificassero quali geni usare quando e dove… in pratica non rispondevo alla mia stessa domanda ma supponevo che i geni spiegassero tutto.
Più recentemente, qualche anno fa, ero poi venuto in contatto con i “fattori epigenetici” nel libro “A Hunter-Gatherer’s Guide to the 21st Century” di Heather Heying e Bret Weinstein. Avevo capito che si trattava di qualcosa che influisce sull’espressione dei geni ma era solo un accenno e non avevo immaginato i dettagli (che non erano spiegati!).
Questo concetto ritorna invece nel corso di Sapolsky ed è fondamentale!
Recentemente (diciamo dal 2000 in poi, non ricordo gli anni esatti) si è scoperto che alcuni geni possono essere attivi o inattivi. Nella striscia del DNA, prima della codifica di ogni singolo gene, vi è una parte chiamata “promoter” (userò i nomi in inglese perché non ho idea della traduzione italiana) che funziona come una sorta di lucchetto: il gene seguente viene usato (ovvero vengono prodotte le proteine che codifica) solo se un TF (Transcription Factor) si lega, come una chiave, a esso.
Questi TF vengono prodotti a livello cellulare (per esempio quando una cellula ha bisogno di energia produce dei TF che attivano il gene la cui proteina permette poi l’arrivo di zucchero, si chiama gluco-qualcosa non ricordo!); oppure a livello dell’intero corpo (per esempio produzione testosterone che attiva il gene della crescita muscolare); ma anche l’ambiente esterno può portare il corpo a reagire attivando temporaneamente vari geni (per esempio in una situazione di conflitto fra uomini, vi è la produzione di testosterone che aumenta l’aggressività attivando specifici geni; oppure l’odore di bebè che stimola l’attivazione di altri ormoni che a loro volta portano a rinforzare il legame madre-figlio).
Insomma, nel nostro DNA abbiamo un sistema di acceso/spento, che equivale a un primo livello di regolazione ma che, al momento, non sembra avere niente a che fare con l’ereditarietà.
Fra parentesi c’è da aggiungere che i TF sono proteine e, a loro volta, sono codificate nel DNA: in altre parole nel DNA sono codificati non solo i geni ma anche tutto il sistema di controllo che serve per regolarli! Anzi, più complesso è il genoma e maggiore sembra essere rispetto ai geni la parte di DNA destinata alla loro regolazione.
Ma la regolazione dei geni è ancora più complessa: non vi è solo il meccanismo lucchetto/chiave delle coppie promoter/TF ma altri meccanismi che hanno un effetto a lungo termine. E per lungo termine intendiamo qualcosa che della durata di anni, decenni o per il resto della vita!
Un meccanismo per disattivare permanentemente un gene è quello di mettere una specie di “tappo” sul promoter e in questa maniera, indipendentemente dalla presenza o meno di TF, il gene non verrà mai utilizzato.
Analogamente, affinché i TF possano raggiungere i promoter vi deve essere un varco nella cromatina (ovvero la parte esterna della spirale di DNA). Questi varchi possono venire chiusi col risultato di bloccare l’attivazione del relativo gene.
La cosa veramente interessante è che alla formazione dei gameti queste modifiche a lungo termine (o almeno alcune di esse) non vengono “resettate” ma copiate tali e quali e, quindi, si trasmettono allo zigote.
In altre parole fattori esterni epigenetici dell’ambiente possono modificare il sistema di controllo dell’attivazione dei geni, e quindi la loro effettiva espressione, e trasmettersi alle generazioni successive.
Ora io parlo di ambiente in generale ma, ovviamente, ciò può essere inteso come abitudine: ovvero la ripetizione di un certo comportamento può modificare l’espressione del DNA e passare alla prole.
In questo senso va intesa la teoria neo-lamarckiana in cui il comportamento influisce effettivamente sul DNA e può trasmettere i suoi effetti alle generazioni successive…
Forse non sono stato troppo preciso nella mia esposizione: ho cercato di passare il senso degli esempi riportati dal professore senza però prendermi la briga di ricopiare i dettagli come geni od ormoni coinvolti. Comunque ho la netta sensazione che, dato l’argomento del corso, verranno approfonditi molti fattori epigenetici nelle prossime lezioni (io sono appena alla sesta puntata su 32!).
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