Sicurezze effimere
Col bel tempo, stranamente, leggo di più. Sono andato avanti in “Fuga dalla libertà” di Fromm e ho trovato un paio di paginette molto interessanti.
Da qualche anno (2/3 ?) mi sto interessando al fenomeno della solitudine dell’uomo moderno legata al suo individualismo: tracce di queste mie riflessioni si trovano nella mia Epitome (v. L’Epitome) al sottocapitolo 3.9 “Il sentiero del gregge”.
Questo libro, scelto a caso e comprato a una bancherella, va proprio a soddisfare questo mio interesse. Essenzialmente si concentra sullo scambio fra la libertà del mondo occidentale moderno e l’ansia provocata da una società in cui tutti sono contro tutti.
Nelle paginette in questione invece Fromm affronta anche altri aspetti della problematica.
Innanzi tutto i rapporti fra le persone nella società seguono le leggi del mercato: dominano quindi manipolazione e strumentalizzazione. Oppure vi è il rapporto fra cliente e commerciante o quello fra datore di lavoro e operai: tutte queste parti cercano il proprio utile personale ovvero economico.
Chi produce non ha un interesse nel proprio prodotto che vada al di là del profitto; non gli dà, per esempio, semplice soddisfazione crearlo ma tutto è incentrato sulla vendita.
Anche nei rapporti personali domina questo carattere di “alienazione”: non rapporti fra persone ma fra cose (*1).
Addirittura il singolo individuo considera anche se stesso come uno strumento e si vende al migliore offerente. Più una persona è considerata utile e più vale: il risultato è che l’uomo valuta se stesso in base alla valutazione che ne danno gli altri.
Tornando alla libertà Fromm riassume il suo pensiero: ovvero che la libertà del mondo capitalistico, sovrapposta alla libertà religiosa del protestantesimo, ha reso però l’uomo più solo e insicuro.
La psicologia ci insegna che in situazioni di stress la mente umana, prima di esplodere, cerca di costruirsi delle valvole di sfogo.
Non sorprendentemente la ricchezza, la fama e il potere tendono a rassicurare l’individuo che possiede uno o più di questi elementi (!). Ma vi sono anche altri aspetti alla portata di tutti: la famiglia e la propria nazione.
L’uomo è nella propria famiglia il padrone e moglie e figli gli obbediscono (*2): questo gli dà una sensazione di importanza che va a compensare l’insicurezza che prova nella società.
Infine, come dicevo, c’è anche la nazione: l’uomo può vedere i successi della sua nazione come se fossero i suoi propri, si può sentire parte di una comunità più grande, per quanto astratta, che gli dà quindi una sensazione di sicurezza.
Fromm sottolinea poi un’importante distinzione: mentre fattori come libertà e conoscenze (soprattutto scientifiche) contribuiscono effettivamente ad accrescere positivamente l’individualità, l’indipendenza e la razionalità, arricchendo la persona e contribuendo a farla sentire soddisfatta di sé. Lo stesso però non vale per denaro, fama, potere, famiglia e orgoglio nazionale: questi sono solo palliativi che alleviano la sua sensazione di insicurezza.
In altre parole si può essere ricchi, famosi e potenti ma comunque totalmente conformisti, schiavi del sistema sociale che pure almeno formalmente si domina.
Infine l’aspetto più interessante quando dall’epoca moderna (XIX secolo) si entra nell’attuale (Fromm scrive nel 1941) con lo sviluppo parossistico del capitalismo il cui frutto sono le multinazionali dei veri e propri stati all’interno di uno stato.
Quando il singolo individuo si confronta con questi colossi lo fa in condizioni di chiara inferiorità e questo, anche quando riesce a stare a galla, crea una ansia ancora più grande del solito.
Cito un po’ Fromm: «Il fattore più importante di questo sviluppo è il potere crescente del capitale monopolistico. La concentrazione del capitale […] in certi settori del nostro sistema economico ha ridotto le possibilità di successo dell’iniziativa, del coraggio e dell’intelligenza dei sdingoli. Nei settori in cui il capitale monopolistico ha ottenuto le sue vittorie, è stata distrutta l’indipendenza economica di molti.» (*3)
A me vengono in mente i tanti negozi di alimentari spazzati via dai supermercati negli anni ‘80 e ‘90 in Italia. Ma gli esempi potrebbero essere molteplici in tanti altri settori.
E poi: «In coloro che si battono […] la lotta assume il carattere di una battaglia contro ostacoli tali che al sentimento di fiducia e coraggio personali è subentrato un sentimento d’impotenza e di disperazione.» (*4)
Il singolo imprenditore “si trova di fronte giganti, mentre era solito lottare contro eguali”.
Personalmente ho trovato molto interessanti questa serie di elementi che mostrano l’evoluzione (o involuzione) psicologica collettiva causata dalla società moderna.
Come al solito ho sempre la sensazione che a Fromm sfugga qualcosa (che al momento non so identificare) ma di sicuro gli elementi che evidenzia sono molto importanti.
Nota (*1): qui sfortunatamente Fromm non approfondisce ciò che ha in mente facendomi rimanere con più di qualche dubbio.
Nota (*2): il libro è del 1941 e credo si riferisca al secolo precedente: ne parla infatti come a una situazione che si è conclusa o che, ormai superata, si sta concludendo.
Nota (*3): Tratto da “Fuga dalla libertà” (1941) di Erich Fromm, (E) Edizioni di comunità, 1980, trad. Cesare Mannucci, pag. 112-113.
Nota (*4): ibidem, pag. 113
Da qualche anno (2/3 ?) mi sto interessando al fenomeno della solitudine dell’uomo moderno legata al suo individualismo: tracce di queste mie riflessioni si trovano nella mia Epitome (v. L’Epitome) al sottocapitolo 3.9 “Il sentiero del gregge”.
Questo libro, scelto a caso e comprato a una bancherella, va proprio a soddisfare questo mio interesse. Essenzialmente si concentra sullo scambio fra la libertà del mondo occidentale moderno e l’ansia provocata da una società in cui tutti sono contro tutti.
Nelle paginette in questione invece Fromm affronta anche altri aspetti della problematica.
Innanzi tutto i rapporti fra le persone nella società seguono le leggi del mercato: dominano quindi manipolazione e strumentalizzazione. Oppure vi è il rapporto fra cliente e commerciante o quello fra datore di lavoro e operai: tutte queste parti cercano il proprio utile personale ovvero economico.
Chi produce non ha un interesse nel proprio prodotto che vada al di là del profitto; non gli dà, per esempio, semplice soddisfazione crearlo ma tutto è incentrato sulla vendita.
Anche nei rapporti personali domina questo carattere di “alienazione”: non rapporti fra persone ma fra cose (*1).
Addirittura il singolo individuo considera anche se stesso come uno strumento e si vende al migliore offerente. Più una persona è considerata utile e più vale: il risultato è che l’uomo valuta se stesso in base alla valutazione che ne danno gli altri.
Tornando alla libertà Fromm riassume il suo pensiero: ovvero che la libertà del mondo capitalistico, sovrapposta alla libertà religiosa del protestantesimo, ha reso però l’uomo più solo e insicuro.
La psicologia ci insegna che in situazioni di stress la mente umana, prima di esplodere, cerca di costruirsi delle valvole di sfogo.
Non sorprendentemente la ricchezza, la fama e il potere tendono a rassicurare l’individuo che possiede uno o più di questi elementi (!). Ma vi sono anche altri aspetti alla portata di tutti: la famiglia e la propria nazione.
L’uomo è nella propria famiglia il padrone e moglie e figli gli obbediscono (*2): questo gli dà una sensazione di importanza che va a compensare l’insicurezza che prova nella società.
Infine, come dicevo, c’è anche la nazione: l’uomo può vedere i successi della sua nazione come se fossero i suoi propri, si può sentire parte di una comunità più grande, per quanto astratta, che gli dà quindi una sensazione di sicurezza.
Fromm sottolinea poi un’importante distinzione: mentre fattori come libertà e conoscenze (soprattutto scientifiche) contribuiscono effettivamente ad accrescere positivamente l’individualità, l’indipendenza e la razionalità, arricchendo la persona e contribuendo a farla sentire soddisfatta di sé. Lo stesso però non vale per denaro, fama, potere, famiglia e orgoglio nazionale: questi sono solo palliativi che alleviano la sua sensazione di insicurezza.
In altre parole si può essere ricchi, famosi e potenti ma comunque totalmente conformisti, schiavi del sistema sociale che pure almeno formalmente si domina.
Infine l’aspetto più interessante quando dall’epoca moderna (XIX secolo) si entra nell’attuale (Fromm scrive nel 1941) con lo sviluppo parossistico del capitalismo il cui frutto sono le multinazionali dei veri e propri stati all’interno di uno stato.
Quando il singolo individuo si confronta con questi colossi lo fa in condizioni di chiara inferiorità e questo, anche quando riesce a stare a galla, crea una ansia ancora più grande del solito.
Cito un po’ Fromm: «Il fattore più importante di questo sviluppo è il potere crescente del capitale monopolistico. La concentrazione del capitale […] in certi settori del nostro sistema economico ha ridotto le possibilità di successo dell’iniziativa, del coraggio e dell’intelligenza dei sdingoli. Nei settori in cui il capitale monopolistico ha ottenuto le sue vittorie, è stata distrutta l’indipendenza economica di molti.» (*3)
A me vengono in mente i tanti negozi di alimentari spazzati via dai supermercati negli anni ‘80 e ‘90 in Italia. Ma gli esempi potrebbero essere molteplici in tanti altri settori.
E poi: «In coloro che si battono […] la lotta assume il carattere di una battaglia contro ostacoli tali che al sentimento di fiducia e coraggio personali è subentrato un sentimento d’impotenza e di disperazione.» (*4)
Il singolo imprenditore “si trova di fronte giganti, mentre era solito lottare contro eguali”.
Personalmente ho trovato molto interessanti questa serie di elementi che mostrano l’evoluzione (o involuzione) psicologica collettiva causata dalla società moderna.
Come al solito ho sempre la sensazione che a Fromm sfugga qualcosa (che al momento non so identificare) ma di sicuro gli elementi che evidenzia sono molto importanti.
Nota (*1): qui sfortunatamente Fromm non approfondisce ciò che ha in mente facendomi rimanere con più di qualche dubbio.
Nota (*2): il libro è del 1941 e credo si riferisca al secolo precedente: ne parla infatti come a una situazione che si è conclusa o che, ormai superata, si sta concludendo.
Nota (*3): Tratto da “Fuga dalla libertà” (1941) di Erich Fromm, (E) Edizioni di comunità, 1980, trad. Cesare Mannucci, pag. 112-113.
Nota (*4): ibidem, pag. 113
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