Lorenz e l'anti-resipiscenza
Uno dei tanti misteri della pandemia di COVID-19 è stato, dal mio punto di vista, il comportamento della maggior parte dei medici.
È normale che, giustamente, si siano fidati delle autorità e delle prime ricerche che sembravano dimostrare la sicurezza ed efficacia dei vaccini m-RNA ma perché, nei mesi e anni successivi, non hanno continuato a “seguire” la scienza?
Perché hanno rinunciato al proprio spirito critico apparentemente non considerando le nuove ricerche e i loro allarmanti risultati?
La mia “spiegazione” era, piuttosto banalmente, il sovrapporsi di una serie di fattori psicologici: l’ubbidienza all’autorità, l’imitazione dei propri pari e, soprattutto, il non voler ammettere il proprio errore iniziale ovvero la protezione della propria autostima. Soprattutto una componente di anti‑resipiscenza: il non voler affrontare il senso di colpa per i pazienti che potrebbero aver involontariamente danneggiato.
Ma, più interessante della mia opinione, è quella di Lorenz scritta nel 1973.
«La possibilità di diffusione di una teoria offerta oggi dai mass-media, e cioè giornali, radio e televisione, spesso fa sì che quanto all’inizio era solamente un’ipotesi scientifica ancora da verificare diventi non solo patrimonio dell’opinione scientifica in generale ma anche dell’opinione pubblica.
A questo punto entrano disgraziatamente in funzione tutti quei meccanismi che servono a conservare le tradizioni che hanno fatto buona prova e di cui abbiamo lungamente parlato nel capitolo VI. Ci si impegna così nella difesa della dottrina con la stessa tenacia e la stessa partecipazione emotiva che sarebbero giustificate qualora si dovessero salvare dalla distruzione le ben sperimentate regole di saggezza di un’antica civiltà, tutto il sapere decantato dalla selezione. Chi non si conforma all’opinione pubblica viene tacciato di eresia, calunniato e possibilmente screditato. Si scarica su di lui quella reazione altamente specifica definita col termine di mobbing, ossia l’odio sociale.» (*1)
È interessante come si può osservare lo stesso fenomeno da prospettive diverse. Lorenz considera la società come una specie di organismo che evolve nel tempo conservando le caratteristiche culturali utili e perdendo quelle dannose. Io invece considero di più l’aspetto psicosociale che invece, dal punto di vista di Lorenz, è in fin dei conti solo il mezzo usato dalla società per evolvere: in altre parole la psicosociologia sta alla società come la psicologia sta all’individuo. Aggiungo anche che Lorenz ha fatto più volte accenni a concetti di psicologia evolutiva…
Secondo la teoria di Lorenz la cultura di una società evolve nel tempo e le idee che più a lungo sono sopravvissute devono essere anche le più benefiche per il suo successo.
Il problema, come specifica l’autore nella prima parte del pezzo riportato, è causato dalla “novità” dei media e dalla loro capacità di influenzare profondamente la popolazione con specifici messaggi: secondo Lorenz in questa maniera si scavalca il normale meccanismo di “selezione” delle idee utili che solo lentamente, nelle epoche passate, si sarebbero diffuse nella popolazione. Questa lentezza dava modo a chi aveva le capacità di farlo di filtrare le idee utili da quelle dannose: i media invece evitano a particolari idee di affrontare questa fase intermedia in cui dovrebbero dimostrare nel tempo la propria bontà/utilità.
Si arriva così a, come scrive Lorenz, considerare una teoria incerta e magari dubbia come qualcosa di assolutamente certo e quindi buono perché utile alla società.
Chi mette in dubbio questa pseudo certezza viene poi considerato malvagio perché si oppone a qualcosa di “buono”: buono proprio perché accettato e considerato valido dalla maggioranza della popolazione e quindi, in teoria, favorevole alla società.
Aggiungo che quanto vale per le minoranze di medici e ricercatori, coloro che non rinunciano al metodo scientifico e mettono in dubbio ciò che non è provato, vale anche per le minoranze di popolazione che nutrono perplessità verso la narrativa dominante.
Prosegue poi Lorenz: «Una tale dottrina, assurta al grado di religione universale, dà ai suoi seguaci la gratificazione soggettiva di una verità eterna che ha il carattere di rivelazione. Tutti i dati di fatto che la contraddicono vengono negati e ignorati oppure, ancora più spesso, rimossi nel senso freudiano, cioè relegati al di sotto della soglia di coscienza. Colui che effettua una rimozione oppone una resistenza strenua e appassionata a qualsiasi tentativo di riportare a livello di coscienza il materiale rimosso, e ciò in proporzione diretta all’entità delle modifiche che subirebbero le sue idee, soprattutto quelle che egli si è formato su se stesso.» (*2)
Questo spiega la risposta violenta e isterica della maggioranza della popolazione verso chi osava avere dei legittimi dubbi.
Aggiungo anche che questo fenomeno psicologico è quello che chiamo anti‑resipiscenza ([E] 1.1): scrivo infatti come sua definizione «l'uomo spesso preferisce non affrontare realtà sgradite per non dover rischiare di correggere le illusioni sulle quali ha basato la propria vita.» (*3)
Vabbè, siccome uno dei “valori” dell’Unione Europea è la censura evito di aggiungere altro: ognuno può valutare le parole di Lorenz che ho riportato o, meglio ancora, leggersi direttamente il suo libretto.
Nota (*1): tratto da “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà” di Konrad Lorenz, (E.) Adelphi, 2023, trad. di Lucia Biocca Marghieri e Lore Fazio Lindner, pag. 117.
Nota (*2): ibidem, pag. 117-118.
Nota (*3): cito la mia nota relativa al limite dell’anti‑resipiscenza:
«Questo difetto può essere visto come una forma estrema di misconoscenza. Alcune delle semplificazioni a cui l'uomo ricorrere per comprendere la realtà, e riuscire così a prendere decisioni, sono dei miti, ovvero articolate mistificazioni della realtà. Questi miti possono assumere un'importanza tale per l'individuo da divenire centrali nella costruzione della sua stessa identità. L'uomo sposato al lavoro, al partito, alla propria squadra del cuore ha in moglie un'illusione.
Questo fa si che egli si aggrappi con pervicacia all’idea intorno alla quale ha costruito la propria essenza. Anche quando l'evidenza della sua falsità dovrebbe essergli ovvia, egli si rifiuterà di guardare le prove, si infurierà con chi cerchi di indicargli il suo errore, non vorrà ascoltare e, anzi, abbraccerà ancor più strettamente la propria illusione voltando la testa e chiudendo gli occhi. Il motivo di ciò è psicologico: ammettere che il mito, l'illusione sulla quale ha basato la propria esistenza e ha costruito la propria personalità, è fallace equivale ad ammettere di aver sprecato la propria vita o, comunque, buona parte di essa.
Non solo: la distruzione di uno dei miti fondamentali su cui l'individuo ha basato il proprio essere comporterebbe la necessità di una ricostruzione, di un cambiamento di visione drastico di se stessi e del proprio mondo, che in pochi hanno non solo la voglia ma anche la forza di intraprendere. Meglio quindi non ascoltare, rifiutarsi di capire e continuare a illudersi, piuttosto che ammettere il proprio errore e ravvedersi.
L’uomo si rifugia quindi nell’anti-resipiscenza per sentirsi sicuro (le vecchie certezze rimangono valide) ma anche per evitare conflitti, per ridurre l’ansia o, semplicemente, per proteggere il proprio prestigio soprattutto se aveva già preso pubblicamente posizione (come vedremo questo aspetto si sovrappone al limite della protezione dell’autostima).»
È normale che, giustamente, si siano fidati delle autorità e delle prime ricerche che sembravano dimostrare la sicurezza ed efficacia dei vaccini m-RNA ma perché, nei mesi e anni successivi, non hanno continuato a “seguire” la scienza?
Perché hanno rinunciato al proprio spirito critico apparentemente non considerando le nuove ricerche e i loro allarmanti risultati?
La mia “spiegazione” era, piuttosto banalmente, il sovrapporsi di una serie di fattori psicologici: l’ubbidienza all’autorità, l’imitazione dei propri pari e, soprattutto, il non voler ammettere il proprio errore iniziale ovvero la protezione della propria autostima. Soprattutto una componente di anti‑resipiscenza: il non voler affrontare il senso di colpa per i pazienti che potrebbero aver involontariamente danneggiato.
Ma, più interessante della mia opinione, è quella di Lorenz scritta nel 1973.
«La possibilità di diffusione di una teoria offerta oggi dai mass-media, e cioè giornali, radio e televisione, spesso fa sì che quanto all’inizio era solamente un’ipotesi scientifica ancora da verificare diventi non solo patrimonio dell’opinione scientifica in generale ma anche dell’opinione pubblica.
A questo punto entrano disgraziatamente in funzione tutti quei meccanismi che servono a conservare le tradizioni che hanno fatto buona prova e di cui abbiamo lungamente parlato nel capitolo VI. Ci si impegna così nella difesa della dottrina con la stessa tenacia e la stessa partecipazione emotiva che sarebbero giustificate qualora si dovessero salvare dalla distruzione le ben sperimentate regole di saggezza di un’antica civiltà, tutto il sapere decantato dalla selezione. Chi non si conforma all’opinione pubblica viene tacciato di eresia, calunniato e possibilmente screditato. Si scarica su di lui quella reazione altamente specifica definita col termine di mobbing, ossia l’odio sociale.» (*1)
È interessante come si può osservare lo stesso fenomeno da prospettive diverse. Lorenz considera la società come una specie di organismo che evolve nel tempo conservando le caratteristiche culturali utili e perdendo quelle dannose. Io invece considero di più l’aspetto psicosociale che invece, dal punto di vista di Lorenz, è in fin dei conti solo il mezzo usato dalla società per evolvere: in altre parole la psicosociologia sta alla società come la psicologia sta all’individuo. Aggiungo anche che Lorenz ha fatto più volte accenni a concetti di psicologia evolutiva…
Secondo la teoria di Lorenz la cultura di una società evolve nel tempo e le idee che più a lungo sono sopravvissute devono essere anche le più benefiche per il suo successo.
Il problema, come specifica l’autore nella prima parte del pezzo riportato, è causato dalla “novità” dei media e dalla loro capacità di influenzare profondamente la popolazione con specifici messaggi: secondo Lorenz in questa maniera si scavalca il normale meccanismo di “selezione” delle idee utili che solo lentamente, nelle epoche passate, si sarebbero diffuse nella popolazione. Questa lentezza dava modo a chi aveva le capacità di farlo di filtrare le idee utili da quelle dannose: i media invece evitano a particolari idee di affrontare questa fase intermedia in cui dovrebbero dimostrare nel tempo la propria bontà/utilità.
Si arriva così a, come scrive Lorenz, considerare una teoria incerta e magari dubbia come qualcosa di assolutamente certo e quindi buono perché utile alla società.
Chi mette in dubbio questa pseudo certezza viene poi considerato malvagio perché si oppone a qualcosa di “buono”: buono proprio perché accettato e considerato valido dalla maggioranza della popolazione e quindi, in teoria, favorevole alla società.
Aggiungo che quanto vale per le minoranze di medici e ricercatori, coloro che non rinunciano al metodo scientifico e mettono in dubbio ciò che non è provato, vale anche per le minoranze di popolazione che nutrono perplessità verso la narrativa dominante.
Prosegue poi Lorenz: «Una tale dottrina, assurta al grado di religione universale, dà ai suoi seguaci la gratificazione soggettiva di una verità eterna che ha il carattere di rivelazione. Tutti i dati di fatto che la contraddicono vengono negati e ignorati oppure, ancora più spesso, rimossi nel senso freudiano, cioè relegati al di sotto della soglia di coscienza. Colui che effettua una rimozione oppone una resistenza strenua e appassionata a qualsiasi tentativo di riportare a livello di coscienza il materiale rimosso, e ciò in proporzione diretta all’entità delle modifiche che subirebbero le sue idee, soprattutto quelle che egli si è formato su se stesso.» (*2)
Questo spiega la risposta violenta e isterica della maggioranza della popolazione verso chi osava avere dei legittimi dubbi.
Aggiungo anche che questo fenomeno psicologico è quello che chiamo anti‑resipiscenza ([E] 1.1): scrivo infatti come sua definizione «l'uomo spesso preferisce non affrontare realtà sgradite per non dover rischiare di correggere le illusioni sulle quali ha basato la propria vita.» (*3)
Vabbè, siccome uno dei “valori” dell’Unione Europea è la censura evito di aggiungere altro: ognuno può valutare le parole di Lorenz che ho riportato o, meglio ancora, leggersi direttamente il suo libretto.
Nota (*1): tratto da “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà” di Konrad Lorenz, (E.) Adelphi, 2023, trad. di Lucia Biocca Marghieri e Lore Fazio Lindner, pag. 117.
Nota (*2): ibidem, pag. 117-118.
Nota (*3): cito la mia nota relativa al limite dell’anti‑resipiscenza:
«Questo difetto può essere visto come una forma estrema di misconoscenza. Alcune delle semplificazioni a cui l'uomo ricorrere per comprendere la realtà, e riuscire così a prendere decisioni, sono dei miti, ovvero articolate mistificazioni della realtà. Questi miti possono assumere un'importanza tale per l'individuo da divenire centrali nella costruzione della sua stessa identità. L'uomo sposato al lavoro, al partito, alla propria squadra del cuore ha in moglie un'illusione.
Questo fa si che egli si aggrappi con pervicacia all’idea intorno alla quale ha costruito la propria essenza. Anche quando l'evidenza della sua falsità dovrebbe essergli ovvia, egli si rifiuterà di guardare le prove, si infurierà con chi cerchi di indicargli il suo errore, non vorrà ascoltare e, anzi, abbraccerà ancor più strettamente la propria illusione voltando la testa e chiudendo gli occhi. Il motivo di ciò è psicologico: ammettere che il mito, l'illusione sulla quale ha basato la propria esistenza e ha costruito la propria personalità, è fallace equivale ad ammettere di aver sprecato la propria vita o, comunque, buona parte di essa.
Non solo: la distruzione di uno dei miti fondamentali su cui l'individuo ha basato il proprio essere comporterebbe la necessità di una ricostruzione, di un cambiamento di visione drastico di se stessi e del proprio mondo, che in pochi hanno non solo la voglia ma anche la forza di intraprendere. Meglio quindi non ascoltare, rifiutarsi di capire e continuare a illudersi, piuttosto che ammettere il proprio errore e ravvedersi.
L’uomo si rifugia quindi nell’anti-resipiscenza per sentirsi sicuro (le vecchie certezze rimangono valide) ma anche per evitare conflitti, per ridurre l’ansia o, semplicemente, per proteggere il proprio prestigio soprattutto se aveva già preso pubblicamente posizione (come vedremo questo aspetto si sovrappone al limite della protezione dell’autostima).»
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