La libertà apparente

Ieri, due tre giorni fa, bo, volevo scrivere di Fromm ma poi non ne ho fatto di niente…
Oggi però, nonostante mi faccia una fatica incredibile, voglio buttare giù almeno due o tre cosette…

Ho iniziato il capitolo quarto, intitolato “I due aspetti della libertà per l’uomo moderno”, di “Fuga dalla libertà”: finalmente il saggio entra nel vivo. In effetti i tre capitoli precedenti si possono considerare di introduzione al suo argomento principale.
Le religioni riformate, luterane e calviniste, hanno operato un cambiamento (chiaramente attraverso i secoli) nella psiche dei fedeli.

Provo a farne una “mia” sintesi: uno dei principali bisogni psicologici dell’uomo è quello di sicurezza. Sicurezza in senso lato: non solo fisica dalle avversità della natura o degli altri uomini ma anche più profonda, psicologica. Sicurezza che si traduce nel bisogno di sentirsi nel giusto, di non sprecare la propria vita e nel rendere almeno accettabile l’idea della propria morte.
Nel medioevo tutti questi bisogni erano soddisfatti dalle piccole comunità locali dove ogni persona aveva un proprio ruolo: aveva anche poca o nessuna libertà di scegliersi la propria strada (mestiere, posto nella società) ma nel proprio ambito poteva esprimersi molto liberamente.
Secondo Fromm nel medioevo c’era quindi poca libertà ma più sicurezza, soprattutto psicologica.

Col Rinascimento e soprattutto la Riforma di Lutero cambia la visione del mondo.
Da una parte la nuova urbanizzazione delle città porta a comunità più anonime: troppe persone tutte insieme non possono conoscersi fra loro, cadano quindi molte sicurezze e l’individuo diviene un singolo fra tanti sconosciuti. Ma è soprattutto la religione che svilisce il ruolo dell’uomo nel mondo e nella propria possibilità di salvezza che lo spinge (Fromm impiega tre capitoli di cambiamenti e sfumature psicologiche!) a cercare la propria salvezza nella dedizione al lavoro. L’uomo è più libero di fare ciò che ritiene meglio per sé ma diventa anche sempre più solo: i suoi simili non sono più compagni ma rivali. Il lavoro, il successo nel lavoro, diviene sinonimo di grazia divina e quindi salvezza: paradossalmente mentre fare il bene al prossimo non dà garanzie di salvezza (per Lutero e Calvino l’uomo è predestinato) il successo economico è la dimostrazione dell’approvazione divina.

Per Fromm queste saranno le basi psicologiche su cui potrà poi attecchire l’ideologia capitalistica che, proprio per questo, si svilupperà inizialmente proprio nei paesi protestanti.

Ok, sintesi schifosa che non evidenzia i apporti di causa ed effetto fra i vari passaggi ma, come detto, Fromm ci mette tre capitoli per spiegare il tutto (*1)

Ah, ecco, nel primo paragrafo Fromm riassume in poche parole, meglio di quanto abbia fatto io (!), il senso dei capitoli iniziali: «L’analisi si è concentrata sul problema della libertà nel suo duplice significato: ha dimostrato che la libertà dai legami tradizionali della società medioevale, pur dando all’individuo un nuovo sentimento di indipendenza, lo portava al tempo stesso a sentirsi solo e isolato, pieno di dubbi e ansietà, e lo spingeva verso una nuova sottomissione e un’attività ossessiva e irrazionale.» (*2)

Venendo al capitolo in questione lo inizia riflettendo su quanto siano effimere e superficiali certe libertà che riteniamo ormai acquisite. I passaggi degni di nota riempiono una pagina intera ma, data la mia pigrizia, mi limiterò a sottolineare quello che mi pare più significativo.

«[…] riteniamo che la libertà di parola sia l’ultimo passo della marcia vittoriosa della libertà. Dimentichiamo che, quantunque la libertà di parola costituisca un’importante vittoria nella battaglia contro le vecchie costrizioni, l’uomo moderno si trova in una situazione in cui gran parte di ciò che “egli” pensa e dice consiste in cose che tutti gli altri pensano e dicono; e che egli non ha acquistato la capacità di pensare originalmente – cioè con la propria testa – la quale sola dà significato alla sua pretesa che nessuno debba interferire nell’espressione dei suoi pensieri.» (*3)

Attuale no? Oggi come ieri le persone che pensano con la propria testa sono una piccola minoranza ma, ora che la tecnologia permette a tutti di diffondere con relativa facilità il proprio pensiero, ecco che l’autorità, con motivazione speciose, si affretta a censurarlo: ovviamente solo quello che osano andare contro la narrativa dominante.

«Perciò siamo portati a pensare che il problema della libertà sia esclusivamente quello di conquistare ancor più libertà del tipo che abbiamo conquistato nel corso della storia moderna, e a credere che tutto ciò che occorre sia difenderla da quei poteri che negano una libertà siffatta. Dimentichiamo che , quantunque che ogni libertà che abbiamo conquistato debba essere difesa con estremo vigore, il problema della libertà non è solo quantitativo, ma anche qualitativo» (*4)

Prima di tutto la “marcia” per la libertà in occidente non solo si è fermata ma, in realtà, ha invertito il suo cammino. Il motivo è implicito in ciò che Fromm ha già scritto: la maggio parte delle persone non pensano con la propria detta ma si convincono di ciò che le autorità e i media ripetono loro. Se il potere dice che c’è troppa libertà la maggior parte delle persone crederà al potere. E questo è già successo e sta succedendo.

Saltando qualche pagina si arriva a un’altra sintesi chiave di quanto ho cercato di riassumere:
«Così Lutero e Calvino prepararono psicologicamente l’uomo al ruolo che doveva assumere nella società moderna: quello di sentirsi irrilevante come individuo e di esser pronto a subordinare la propria vita a fini che non erano i suoi. L’uomo, ormai pronto a diventar null’altro che il mezzo per la gloria di un Dio che non rappresentava né la giustizia né l’amore, era sufficientemente preparato ad accettare il ruolo di servo della macchina economica; e alla lunga di un “Führer”.» (*5)

C’è poi una lunga digressione su come conciliare l’egoismo moderno con l’ascetismo luterano.
Diciamo che le argomentazioni di Fromm non mi convincono del tutto: alla fine, secondo l’autore, l’egoismo è una forma d’odio verso se stessi, è l’io reale che odio l’io sociale, ovvero l’uomo divenuto semplice ingranaggio della macchina economica. È una reazione estrema alla tensione provocata dalla vita moderna. Incidentalmente questa teoria mi sembra molto compatibile con quella dell’inconscio di Jung: un inconscio che normalmente subordinato al conscio, quando “scoppia” fa prendere una direzione opposta a quella dove il conscio stava andando.

Beh, tutto qui: in effetti mi sembrava di avere di più da scrivere: il fatto è che ritrovo molti concetti che avevo già pensato e/o espressi. Solo che quando li scrivevo come mie idee mi sentivo come un matto che ulula alla luna, uno che vede pericoli, malvagità e ipocrisia dove invece regna il bene, la verità e la giustizia.
Quando quindi trovo un personaggio importante che, in epoca non sospetta, la pensa come me ecco che allora ho la conferma di non essere matto: questo mi dà contemporaneamente soddisfazione ma anche frustrazione per essere intellettualmente così solo.

Nota (*1): senza comunque convincermi del tutto...
Nota (*2): Tratto da “Fuga dalla libertà” (1941) di Erich Fromm, (E) Edizioni di comunità, 1980, trad. Cesare Mannucci, pag. 96.
Nota (*3): ibidem, pag. 97-98.
Nota (*4): ibidem, pag. 98.
Nota (*5): ibidem, pag. 102.

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